di Ilaria Agostini
Pubblichiamo l’intervento dell’urbanista Ilaria Agostini uscito sull’edizione fiorentina di Repubblica il 27 marzo
Firenze dice addio al restauro edilizio su monumenti e immobili storici. È questo il contenuto di una Variante al Regolamento Urbanistico in fase di discussione nelle commissioni comunali.
Il restauro è stato consacrato dalla cultura e dalla prassi come il metodo di intervento più indicato per l’edificato delle città storiche. Finora, in Italia, questo “dogma operativo” non era mai stato messo in crisi formalmente; Firenze invece si pone oggi all’avanguardia nello smantellamento di un principio che ha segnalato a livello internazionale il metodo della conservazione urbana messo a punto nel nostro Paese. Infatti, proprio in base alla Variante all’art. 13 del Regolamento urbanistico (articolo che disciplina gli interventi sugli edifici del territorio comunale) le opere edilizie sull’interezza degli immobili storici non si limiteranno più al restauro, come finora avveniva.
Pure – e ciò è particolarmente grave – gli edifici vincolati ai sensi del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio sono messi a rischio dalla recente proposta del Comune: sugli edifici monumentali, sul patrimonio dell’umanità, il restauro sarà sopravanzato dalla “ristrutturazione edilizia”. Per i non addetti ai lavori, ciò significa che il Piano regolatore non indicherà più alcuna limitazione di trasformazione, poiché la “ristrutturazione edilizia” è la classe d’intervento più invasiva e “permissiva”, quella che arriva a consentire la massima libertà trasformativa comprendendo persino la demolizione e la ricostruzione dell’edificio “in tutto o in parte diverso” dal precedente. È come dire che, secondo la variata disciplina urbanistica, sugli Uffizi o sulla villa di Rusciano si potrà agire con la stessa libertà con cui si opera su un capannone industriale.
Ma come garantire allora la tutela degli immobili monumentali che il mondo intero ammira? Come garantire l’osservanza dell’art. 29 del Codice che prescrive appunto il restauro come misura di conservazione dei Beni Culturali? Il Comune, unico caso in Italia, non condizionando ad alcuna previsione di Piano le trasformazioni, demanderà completamente – anche in contrasto con gli obblighi conservativi posti in capo agli enti pubblici territoriali dall’art. 30 del Codice medesimo – l’indirizzo delle modifiche degli immobili notificati alla discrezionalità della Soprintendenza che, con trattative riservate, ne definirà i limiti (sempre che gli uffici, scarni e indeboliti, non facciano scattare il silenzio assenso sulle proposte pervenute). È particolarmente grave, ma è anche il segno del nostro tempo mercantile e servile, l’atteggiamento del Comune: rimettendo alla Soprintendenza il destino degli edifici monumentali, esso recede da un suo compito costituzionale: l’urbanistica quale funzione, primaria ed essenziale, concernente l’assetto e l’utilizzo del territorio.
La Variante in questione trova la sua origine nello stallo dei cantieri nel centro storico fiorentino, bloccati nella primavera del 2017 in conseguenza di una sentenza della Corte Costituzionale. A fronte di questa situazione, il sindaco Nardella si reca a Roma per invocare aiuto.
Il risultato del viaggio a Palazzo Chigi, di cui la stampa dette ampia eco, fu la modifica al Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001, art. 3) che andava a riconfigurare proprio la voce “restauro”. Tuttavia, secondo il Comune di Firenze – che forse da Roma si attendeva qualcosa di più – la novellata categoria del restauro risultava persino nociva per gli edifici storici e non ne avrebbe garantito la tutela: per la loro efficace protezione, gli uffici comunali, anziché rinforzare le misure di tutela, abbassano l’asticella, bandendo il vincolo di restauro dal territorio comunale.
È la terapia d’urto che si compirà qualora la Variante venisse approvata. E che coinvolgerà tutto il tessuto edilizio storico, i luoghi monumentali e i Beni Culturali pubblici posti in vendita nei piani di alienazione, già venduti o oggetto di grandi cantieri: teatro Comunale, ex tribunale in piazza San Firenze, convento di Monte Oliveto, Fortezza da Basso, ex caserma Cavalli in piazza del Cestello, Camera di Commercio, Manifattura Tabacchi, complesso di Santa Maria Novella, etc…
Eludere la pianificazione della città storica, affidare alla libera discrezionalità della Soprintendenza gli edifici vincolati, abolire il restauro sull’edificato storico della città e dei dintorni di Firenze significa che ogni intervento sui Beni Culturali può essere autorizzato, significa stravolgere i connotati e intaccare il patrimonio unico e irriproducibile delle nostre città antiche. Eliminare i vincoli alla trasformazione corrisponde a rendere più appetibili i grandi edifici pubblici in vendita. Ma favorire l’acquisizione di interi settori urbani ai grandi capitali produce come diretta conseguenza lo spossessamento e l’espulsione dei residenti, in particolare delle classi a basso reddito. E Firenze ha già preso la cattiva strada.